Photo Red: multe nulle se manca la delibera di autorizzazione del Comune

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Photo Red: multe nulle se manca la delibera di autorizzazione del Comune

di Lucia Izzo – Se l’Ente titolare della strada decide di ricorrere a un apparecchio automatico con cui rilevare il passaggio con il rosso al semaforo, sarà necessaria una preventiva e formale delibera che autorizzi alla sua installazione, stante i principi di trasparenza amministrativa.

 

Se l’impianto semaforico è installato senza la delibera di autorizzazione della Giunta Municipale deve ritenersi nulla la multa elevata all’automobilista passato con il rosso e accertata a mezzo di apparecchio Poto Red.

 

Lo ha chiarito il Giudice di Pace di Torino (nella persona del dott. Francesco Fontana), in una sentenza depositata il 21 novembre 2019, pronunciandosi sul ricorso avverso verbali di infrazione del Codice della Strada presentato da un conducente, rappresentato dall’Associazione Globoconsumatori Onlus.

 

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GARA CON UN’UNICA OFFERTA, COSA ACCADE?

(di Luca Leccisotti)

 Credo ci capiti molto spesso che al momento di esaminare le offerte pervenute, rileviamo che è stata presentata un’unica offerta.

Come ci comportiamo?

Bene, ad oggi il Codice Appalti non prevede alcuna previsione espressa, ma soltanto frammenti di disposizioni dubbie e controverse.

Art. 95 comma 12 – D.lgs 50/2016

Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto. Tale facoltà è indicata espressamente nel bando di gara o nella lettera di invito.(simile all’art. 81 vecchio codice appalti)

Art. 94 comma 2 – D.lgs 50/2016

La stazione appaltante può decidere di non aggiudicare l’appalto all’offerente che ha presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa, se ha accertato che l’offerta non soddisfa gli obblighi di cui all’articolo 30, comma 3.

Il vecchio codice appalti invece, il d.lgs 163/2006, aveva un articolo che espressamente disciplinava questo aspetto:

Art. 55 comma 4 – D.lgs 163/2006

Il bando di gara può prevedere che non si procederà ad aggiudicazione nel caso di una sola offerta valida, ovvero nel caso di due sole offerte valide, che non verranno aperte. Quando il bando non contiene tale previsione, resta comunque ferma la disciplina di cui all’articolo 81, comma 3.

 

Pare assurdo ma, l’unica ancora di salvataggio è l’art. 69 del R.D. 827/1924, mai stato abrogato da nessuna norma e tutt’oggi ancora in vigore che recita:

“omissis…la presentazione delle offerte ed é dichiarata deserta ove non ne siano presentate almeno due, salvo il caso in cui l’amministrazione abbia stabilito, avvertendolo nell’avviso d’asta, che, tenendosi l’asta coi sistemi delle offerte segrete, si procede all’aggiudicazione anche se venga presentata una sola offerta.”

Qual è la chiave di volta?

La soluzione è questa: inseriamo sempre nel bando la clausola tipo “la stazione appaltante si riserva la ampia facoltà di procedere all’aggiudicazione nel caso di una sola offerta: si riserva inoltre di non procedere all’esperimento della gara, nel caso siano state presentate meno di tre offerte.

E’ cristallino che se voi non inserite nulla nel bando, una gara con una sola offerta non è proseguibile.

Buon lavoro.




Omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza: unico reato

  • La guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti sono aggravanti dell’omicidio stradale nel rispetto del ne bis in idem sostanziale.

    Con la sentenza n. 26857/2018, depositata il 12 giugno (sotto allegata), la Cassazione sancisce che, chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti deve essere imputato per il reato di omicidio stradale nella forma aggravata, poiché l’imputazione separata e ulteriore per guida in stato di ebbrezza violerebbe il principio del ne bis in idem sostanziale. Questo il cambiamento apportato dalla legge n. 41/2016, che contempla la guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe come aggravanti del reato base di omicidio stradale.

    SENTENZA

    Corte di Cassazione Civile sezione III, sentenza n. 4010 del 20 febbraio 2018

    Svolgimento del processo Autocarrozzeria (Omissis) S.r.l. (già M. C. S.r.l.) ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale di Palermo n. 5668/2014 che, confermando la pronuncia di primo grado resa tra Pa.Fr. conducente del veicolo danneggiato, P.S. proprietaria del veicolo danneggiante e R.G. conducente del veicolo danneggiante, ha condannato il solo R. al risarcimento del danno nei confronti della Pa.. Il Giudice di Pace, confermato dal Tribunale, aveva ritenuto che la ficta confessio determinata dalla mancata presentazione del R. a rendere l’interrogatorio formale, trattandosi nel caso di specie di litisconsorzio facoltativo, non spiegava alcun effetto nei confronti di P. e Alleanza Toro ma soltanto nei confronti del confitente. Entrambi i giudici di merito hanno precisato che, non essendo il conducente del veicolo assicurato un litisconsorte necessario della compagnia di assicurazioni e/o del proprietario assicurato ma un coobbligato solidale con il proprietario del veicolo, la confessione del conducente stesso, ivi compresa quella resa nel CID, vada liberamente apprezzata dal giudice del merito nei confronti del proprietario del veicolo e dell’assicuratore, mentre faccia piena prova, a norma degli artt. 2733 e 2735 c.c., nei confronti del conducente confitente. Il Tribunale, confermando la sentenza di primo grado, ha aggiunto che il modulo di constatazione amichevole, sottoscritto da Pa. e R., non era idoneo a dimostrare la veridicità del fatto, sulla base anche della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la relativa dichiarazione confessoria deve essere liberamente apprezzata dal giudice anche ne applicabile alla fattispecie, dell’art. 143 Codice delle Assicurazioni che stabilisce una presunzione legale di verità di quanto contenuto nel CID, salvo prova contraria da parte dell’assicuratore. La sentenza avrebbe violato detta disposizione nella parte in cui non si è fatta carico di esaminare se l’assicuratore avesse fornito la prova contraria in ordine a quanto dichiarato nel CID, in ipotesi di litisconsorzio necessario. Il motivo è infondato. L’art. 143 del Codice delle Assicurazioni, nella lettura consolidata della giurisprudenza di questa Corte, prevede che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, la dichiarazione, avente valore confessorio contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro, per essere opponibile all’assicuratore debba essere resa dal responsabile del danno che sia anche proprietario del veicolo assicurato, caso questo di litisconsorzio necessario. Diversamente accade, come nel caso di specie, quando il conducente del veicolo non sia anche proprietario del mezzo in quanto quest’ultimo è solo litisconsorte facoltativo e la sua dichiarazione non fa stato nei confronti dell’assicuratore ma va liberamente apprezzata dal Giudice (Cass. U. n. 10311/2006; Cass. 3 n. 8214 del 4/4/2013; Cass. 6-3 n. 3875 del 19/02/2014). La sentenza impugnata si è, pertanto, conformata pienamente a detti principi, ritenendo che la dichiarazione resa dal conducente non proprietario, cioè da un coobbligato in solido, non sia opponibile all’assicuratore ma liberamente apprezzabile dal giudice. Peraltro la giurisprudenza di questa Corte ha fatto salvo il potere del giudice del merito, in materia di responsabilità di sinistro stradale, di valutare come preclusa la portata confessoria del cosiddetto CID nell’esistenza di un accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto, come descritto in quel documento, e le conseguenze del sinistro come accertato in giudizio. L’incompatibilità logica delle dichiarazioni con la dinamica del sinistro è, secondo questa Corte, un momento antecedente rispetto all’esistenza e alla valutazione della dichiarazione confessoria (Cass. 3, n. 15881 del 25/06/2013). Quanto al secondo profilo, il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui avrebbe violato l’art. 232 c.p.c., nel non ritenere che la mancata risposta del R. all’interrogatorio formale, sia pur con i limiti della ficta confessio, dovesse essere valutato insieme agli altri elementi di prova per arrivare alla conclusione della fondatezza dell’originaria pretesa dell’attrice. Il motivo, sotto questo secondo profilo, è inammissibile in quanto la censura è di merito. Ne consegue l’infondatezza dell’unico motivo del ricorso principale. Con un unico motivo di ricorso incidentale la Vittoria Assicurazioni censura la sentenza in relazione al capo che ha sancito l’inammissibilità del suo intervento in giudizio. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto il ricorrente in via incidentale non dichiara dove abbia dato la prova della sua legittimazione nè impugna il capo di sentenza relativo alla mancanza della prova. Conclusivamente il ricorso principale deve essere rigettato, l’incidentale dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza, le spese possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico, sia del ricorrente principale sia di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico sia del ricorrente principale sia di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis




PATENTE A PUNTI

  • I Punti dalla Patente si possono decurtare senza l’obbligo della preventiva comunicazione. Cassazione Civile, sez. II, ordinanza 16/04/2018 n° 9270.  Dott. Giuseppe Aiello

Il provvedimento col quale viene disposta la revisione della patente di guida viene adottato senza la preventiva comunicazione. Il titolare della patente di guida viene a conoscenza del provvedimento già dall’esame del verbale di accertamento dell’infrazione cui sia connessa la sanzione accessoria della sottrazione dei punti.  E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, Sez. II Civile, con l’ordinanza 16 aprile 2018, n. 9270.

L’applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente di guida è conseguenza dell’accertamento costituito dal verbale di contestazione della violazione del Codice della Strada, che deve recare l’indicazione della decurtazione (comma 2). A sua volta, il comma 3 del medesimo art. 126-bis prescrive che ogni variazione di punteggio è comunicata agli interessati dall’Anagrafe Nazionale degli abilitati alla guida, ma prevede anche che ciascun conducente possa controllare in tempo reale lo stato della propria patente con le modalità indicate dal Dipartimento ministeriale per i trasporti terrestri; che la comunicazione della variazione di punteggio a cura dell’Anagrafe nazionale è atto, privo di contenuto provvedimentale, meramente informativo, la cui fonte è costituita dal verbale di contestazione (ovvero dall’ordinanza-ingiunzione che, rigettando il ricorso amministrativo, confermi il verbale anche per la parte concernente la sanzione accessoria), ed è espressione del principio di trasparenza dell’attività amministrativa. A sua volta, il provvedimento di revisione della patente, che è atto vincolato all’azzeramento del punteggio, ed è, anch’esso, fondato sulla definitività dell’accertamento delle violazioni stradali in esito alle quali sia stato decurtato l’intero punteggio dalla patente di guida, non presuppone l’avvenuta comunicazione delle variazioni di punteggio, tenuto conto che l’interessato conosce subito, attraverso il verbale di accertamento, se e in quale misura gli sarà applicata la sanzione accessoria della decurtazione punti, e può conoscere in ogni momento il suo saldo-punti.

Leggi la sentenza

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Ordinanza 16 aprile 2018, n. 9270

 

Presidente Giusti
Relatore Scalisi

Fatti di causa

C.G. con ricorso del 16 maggio 2011 conveniva in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché la Direzione Generale e la Direzione Territoriale di Lecce della Motorizzazione Civile al fine di ottenere: a) in via preliminare la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento del 23 agosto 2011, con il quale la Motorizzazione di Lecce disponeva nei confronti del ricorrente la revisione della patente di guida e b) nel merito chiedeva l’annullamento del predetto provvedimento di revisione della patente di guida, il reintegro dei venti punti sulla patente del C.G. . Eccepiva, il ricorrente, l’illegittimità del provvedimento di revisione della patente di guida per violazione dell’art. 126 bis del Dlgs 285 del 1992, nella parte in cui prevede l’obbligo per l’Amministrazione di comunicare agli interessati ogni singola variazione di punteggio onde consentire la tempestiva partecipazione agli appositi corsi di recupero; 2) l’illegittimità del provvedimento di cui si dice per violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 in considerazione della carenza di motivazione di detto provvedimento amministrativo.

All’udienza del 30 settembre 2001 si costituiva l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Lecce che contestava gli assunti del ricorrente e ne chiedeva il rigetto.

Il Giudice di Pace di Lecce con sentenza n. 5067 del 2011 dichiarava inammissibile il ricorso per essere la comunicazione di decurtazione del punteggio un provvedimento non impugnabile. Avverso tale sentenza C. interponeva appello per le stesse ragioni già esposte con il ricorso introduttivo.

Si costituiva il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che in via preliminare eccepiva il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore del Giudice amministrativo e, nel merito richiamava le argomentazioni difensive già svolte nel giudizio di primo grado.

Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 5374 del 2011, dichiarava ammissibile l’opposizione, ma la rigettava nel merito. Secondo il Tribunale di Lecce l’appello doveva essere rigettato perché il provvedimento della Motorizzazione Civile era doveroso e vincolato una volta esaurito il punteggio e dovendosi rilevare che l’eventuale omessa comunicazione non escludeva la validità del provvedimento di revisione, sia perché dalla decurtazione dei punti l’automobilista era già a conoscenza, essendogli noto l’esito della contestazione dell’infrazione, sia perché poteva acquisire conoscenza tramite la consultazione dell’Anagrafe.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.G. con ricorso affidato ad un motivo. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha resistito con controricorso.

Ragioni della decisione

Con l’unico motivo di ricorso C.G. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 126 bis del Dlgs n. 285 del 1992 ed art. 6 del DM 29 luglio 2003 recante programmi dei corsi per il recupero dei punti della patente di guida (GU. 6 agosto 2003 n. 181) come modificato dal DM; 30 marzo 2006 (GU 3 maggio 2006 n. 101). Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale abbia ritenuto irrilevante, ai fini della legittimità del procedimento di revisione della patente di guida, la mancanza di comunicazioni, da parte dell’Anagrafe Nazionale degli abilitati alla guida, delle riduzioni del relativo punteggio causate da precedenti infrazioni, o, in altri termini, che il Tribunale abbia ritenuto che la comunicazione della decurtazione di punteggio al trasgressore non sarebbe condizione di validità del provvedimento stesso di revisione della patente di guida. Piuttosto, ritiene il ricorrente, l’art. 126 bis CdS imporrebbe all’amministrazione un obbligo di comunicare la decurtazione, la cui ratio risiederebbe nel porre il trasgressore in condizioni di riparare. E, la violazione di tale obbligo impedendo al trasgressore di iscriversi ai corsi per il recupero del punteggio, ai sensi dell’art. 6 del DM 29 luglio 2003 dovrebbe spiegare i propri effetti invalidanti anche sul provvedimento di revisione della patente.

Il Tribunale, non avrebbe tenuto conto, secondo il ricorrente, che in assenza della comunicazione di cui all’art. 126 bis CdS l’automobilista sarebbe posto nella totale impossibilità di verificare se la decurtazione dei punti sia stata operata legittimamente oppure illegittimamente in relazione a contestazioni per le quali sia stato proposto ricorso la cui decisione sia ancora sub iudice o per le quali il ricorso sia stato addirittura accolto dall’Autorità Giudiziaria.

Il motivo è infondato.

Va qui osservato che nel sistema delineato dall’art. 126-bis del d.lgs. n.285 del 1992, l’applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente di guida è conseguenza dell’accertamento costituito dal verbale di contestazione della violazione del Codice della Strada, che deve recare l’indicazione della decurtazione (comma 2). A sua volta, il comma 3 del medesimo art. 126-bis prescrive che ogni variazione di punteggio è comunicata agli interessati dall’Anagrafe Nazionale degli abilitati alla guida, ma prevede anche che ciascun conducente possa controllare in tempo reale lo stato della propria patente con le modalità indicate dal Dipartimento ministeriale per i trasporti terrestri; che la comunicazione della variazione di punteggio a cura dell’Anagrafe nazionale è atto, privo di contenuto provvedimentale, meramente informativo, la cui fonte è costituita dal verbale di contestazione (ovvero dall’ordinanza-ingiunzione che, rigettando il ricorso amministrativo, confermi il verbale anche per la parte concernente la sanzione accessoria), ed è espressione del principio di trasparenza dell’attività amministrativa. A sua volta, il provvedimento di revisione della patente, che è atto vincolato all’azzeramento del punteggio, ed è, anch’esso, fondato sulla definitività dell’accertamento delle violazioni stradali in esito alle quali sia stato decurtato l’intero punteggio dalla patente di guida, non presuppone l’avvenuta comunicazione delle variazioni di punteggio, tenuto conto che l’interessato conosce subito, attraverso il verbale di accertamento, se e in quale misura gli sarà applicata la sanzione accessoria della decurtazione punti, e può conoscere in ogni momento il suo saldo-punti (Cass. n. 18174 del 2016).

Il sistema così delineato garantisce la possibilità del recupero dei punti decurtati prima dell’azzeramento, per evitare la revisione; ed è, altresì, evidente che, ai fini dell’iscrizione ai corsi di recupero del punteggio non possa essere richiesta la previa comunicazione della avvenuta decurtazione dei punti, così come da tempo afferma la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 6189 del 2012), che ha già chiarito che l’iscrizione ai corsi di recupero è consentita, oltre che agli automobilisti che esibiscono la comunicazione, anche a quelli che esibiscono il duplicato della comunicazione, ottenuto tramite il numero verde, ovvero, la stampa del report de “il portale dell’automobilista”, ovvero, l’attestazione a stampa della posizione del conducente rilasciata dall’Ufficio della Motorizzazione (adesso cfr. Circolare Ministero dei trasporti, n. 11490 in data 8 maggio 2013).

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Deve, altresì, darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato, ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02, D.Lgs. 546/92.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale. Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02, D.Lgs. 546/92 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13.

 




Sinistri stradali: la Cassazione fa un vademecum su come risarcire tutti i danni ( Fonte: it.blastingnews.com)

  • Decisione numero 7513/2018, depositata il 27/3/2018: ecco tutte le motivazioni.

 

In tema di #sinistri stradali non è sempre facile ottenere il risarcimento di tutti i danni  proprio perché l’onere della prova è a carico del ricorrente. La Corte di Cassazione con una recente ordinanza, la numero 7513/2018, depositata il 27/3/2018 ha chiarito molto dettagliatamente come va risarcito il danno da sinistro alla salute proprio attraverso l’enunciazione di 10 regole, che riportiamo sinteticamente. L’importante principio di diritto che ne deriva è il seguente: “il #risarcimento del danno a seguito dell’accertata invalidità del soggetto infortunato assorbe, comprendendoli al proprio interno, anche i danni dinamico relazionali”.

Il caso da cui trae spunto la decisione della Cassazione

Il caso oggetto della decisione della Corte di Cassazione ha avuto come protagonista un uomo che era rimasto ferito in seguito a un sinistro stradale,avvenuto mentre era trasportato sul veicolo di proprietà della società pressi cui lavorava.

Gli era stato riconosciuto un’invalidità superiore al 38%. Dato che l’Inail gli aveva accordato somme inferiori al risarcimento dovutogli, il lavoratore decide di fare ricorso e lo vince, avendo il Tribunale di Frosinone accolto la sua domanda.

Dopodiché la Compagnia assicurativa, eccependo un concorso di colpa del lavoratore, decide di impugnare la sentenza di primo grado dinnanzi la corte d’appello di Roma. I giudici dell’appello accolgono il gravame riducendo il risarcimento del danno biologico del 25%, dopo che il tribunale lo aveva invece aumentato del 25%. Il lavoratore invalido decide quindi di proporre ricorso per cassazione. I giudici di legittimità, ritenendo fondato il ricorso, lo accolgono con le seguenti motivazioni.

Le ragioni della decisione dei giudici di Piazza Cavour

I supremi giudici partono dal presupposto che il risarcimento corrispondente a un determinato grado di invalidità riconosciuta, comprende già la menomazione degliaspetti ´dinamico relazionali´, quale conseguenza ´normale´ del danno alla salute.

Ancora gli Ermellini continuano dicendo che la misura standard del risarcimento prevista dalla legge può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, non generali e non evitabili, purché dimostrate.

Ecco quindi che in tali casi non c’è duplicazione risarcitoria se si procede al risarcimento dei pregiudizi che non poggiano su presupposti medico-legali, perché non aventi base organica, che possono consistere nella sofferenza interiore, nella paura, nella insicurezza verso di sè e verso gli altri. Il danno deve essersi estrinsecato materialmente in una conseguenza che abbia causato dei cambiamenti concreti. Deve trattarsi di una’ingiustizia che possa considerarsi costituzionalmente qualificata, che abbia comportato la lesione di un diritto inviolabile della persona.Tali pregiudizi devono formare oggetto di separata valutazione e liquidazione poiché sono relativi alla dimensione relazionale della vita della persona danneggiata.

il decalogo sul danno alla salute sopra riferito, riassunto nei seguenti punti:

l’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale;

il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomenologicamente) unitaria;

per “categoria unitaria” si intende che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (articoli 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.);

nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve sia prendere in esame tutte le conseguenze dannosedell’illecito sia evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici;

in sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamentoin concreto e non in astratto, dell’effettiva esistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, “all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio”;

a fronte di un danno permanente alla salute, è da intendere come duplicazione risarcitoria “la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale”;

a fronte di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (secondo il sistema cosiddetto “del punto variabile“) si può aumentare “solo in presenza di conseguenze dannose de/tutto anomale ed affatto peculiari”. Inoltre, le conseguenze dannose “normali e indefettibili” secondo l’id quod plerumque accidit non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento;

non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento “dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (come, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”;

nel caso venga correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, “essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione”;

il danno non patrimoniale non derivante da una lesione alla salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto sia dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa – la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore- sia di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Questo, in ogni caso, “senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria”.




Sinistri stradali: il valore di prova dei verbali di accertamento

  • La valenza di prova legale del verbale di accertamento di un sinistro stradale secondo la Cassazione  da studiocataldi.it 

 

di Enrico Pattumelli – Il verbale di accertamento di un sinistro stradale costituisce prova legale relativamente ai fatti visivamente accertati dai verbalizzanti e inerenti la fase statica dell’incidente mentre, non detiene la medesima valenza, con riferimento ad apprezzamenti valutativi dagli stessi riportati e in esso contenuti. E’ quanto emerge dalla recente ordinanza della Cassazione, n. 2348/2018 (sotto allegata).

La vicenda

Tizio, Caio e Sempronio citavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, Mevia e la società assicuratrice di quest’ultima al fine di accertare la responsabilità della convenuta relativamente ad un sinistro stradale e, conseguentemente, ottenere il risarcimento del danno.

Nello specifico, Tizio e Caio agivano rispettivamente quali conducente e trasportato di un motociclo mentre, Sempronio, quale proprietario del mezzo. Siffatta precisazione permette di cogliere come i primi due attori agivano per ottenere il risarcimento delle lesioni riportate ed il terzo, Sempronio, per i danni subiti al veicolo a seguito del sinistro verificatosi con la vettura di proprietà della convenuta e guidata dalla stessa.

Il giudizio di primo grado si concludeva con l’accoglimento delle domande attoree, riconoscendo il danno biologico, morale e le spese mediche, nonché il danno patrimoniale per il proprietario del ciclomotore.

L’esclusiva responsabilità di Mevia era stata desunta dalla dichiarazione resa da quest’ultima alla propria compagnia assicuratrice e da una testimonianza. Da suddetta dichiarazione emergeva la disattenzione della conducente che, ferma all’incrocio, si era rivolta verso i figli seduti al sedile posteriore e, scivolandole il piede dalla frizione, la vettura sobbalzava in avanti, urtando così il motociclo in transito; dalla testimonianza si desumeva altresì la velocità moderata tenuta dallo stesso ciclomotore.

Avverso la sentenza del Tribunale, il conducente e il trasportato del motociclo proponevano appello principale mentre la compagnia assicuratrice proponeva appello incidentale.

La Corte d’Appello di Catania, previo esperimento di una nuova consulenza tecnica, accoglieva parzialmente gli appelli, valorizzando le risultanze del verbale di accertamento redatto dai vigili urbani, quest’ultimo trascurato dal giudice di prime cure.

Il verbale metteva in luce la mancanza assoluta di danni sull’autovettura e altresì che il motociclo, dopo l’urto, aveva continuato la marcia scontrandosi dapprima con un obelisco situato nella parte opposta della piazza e, successivamente, con un’autovettura parcheggiata di fronte. I danni riportati e le distanze intercorrenti tra i veicoli coinvolti lasciavano così desumere come il conducente del ciclomotore non avesse tenuto una velocità contenuta e adeguata ma, al contrario, sicuramente superiore ai limiti consentiti.

Siffatte evidenze inducevano così a ritenere che il mero sobbalzo in avanti causato dall’urto non avrebbe potuto comportare tali conseguenze e che dunque la testimonianza, assunta nel giudizio di primo grado, dovesse considerarsi non attendibile.

La Corte di Appello accoglieva così il ricorso principale, escludendo l’incidenza del mancato uso del casco ai fini delle lesioni che per il giudice di primo grado avevano comportato una riduzione del risarcimento ma, in accoglimento del ricorso incidentale, aveva ridotto lo stesso risarcimento della metà, sull’assunto che il sobbalzo in avanti dell’autovettura e l’eccessiva velocità del motociclo avessero avuto una pari efficacia causale.

Avverso tale sentenza il conducente del motociclo ricorre in Cassazione, adducendo quattro differenti motivi.

Concentrandosi sul motivo di maggior interesse per la presente trattazione, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 c.c. e 116 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, co 1, n°4 c.p.c.

Si contesta l’operato del giudice di appello nell’aver fondato il proprio giudizio unicamente sul verbale di accertamento dei vigili urbani, avendo errato nel ritenerlo quale prova piena fino a querela di falso, e risultando così basato su argomentazioni arbitrarie, in alcun modo ancorate al dato oggettivo di prove certe ed indicazioni tecniche. Si evidenzia come i vigili urbani non avessero assistito all’incidente ma ne avessero ricostruito la dinamica attraverso la posizione di quiete assunta dai mezzi coinvolti, dovendosi così escludere l’efficacia di piena prova rispetto a fatti che non è possibile accertare con modalità sufficientemente obiettive.

Il valore di prova del verbale di accertamento sinistro stradale

La Cassazione, con l’ordinanza in commento, dichiara il motivo inammissibile, confermando l’orientamento tradizionale e costante della giurisprudenza di legittimità.

Il verbale di accertamento redatto dai vigili urbani ha efficacia di piena prova con riferimento a fatti visivamente accertati dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell’incidente.

Una tale efficacia probatoria è dunque limitata alle sole circostanze attestate dal pubblico ufficiale così come percepite da un punto di vista sensoriale, senza che si rinvenga alcun margine di apprezzamento.

Quanto affermato comporta dunque che il verbale non mantenga una tale efficacia, essendo invece liberamente valutato dal giudice, qualora afferisca apprezzamenti valutativi dei verbalizzanti.

La Corte d’Appello non ha dunque errato nel fondare il proprio giudizio a fronte di quanto emerso dai verbali di accertamento e la censura sollevata dal ricorrente risulta essere estranea alla ratio decidendi.

Il Supremo Consesso rammenta come, in tema di prova, spetti in via esclusiva al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e scegliere quelle ritenute maggiormente idonee ad attestare la veridicità dei fatti ad esse sottesi. Rientra nel potere di questi assegnare prevalenza ad un mezzo di prova piuttosto che ad un altro, nonché la stessa facoltà di poterne escludere la rilevanza, senza essere tenuto ad esplicitare, per ciascun mezzo istruttorio, le ragioni sottese (ex multis Cass. 2014/13485).




POLIZIA EDILIZIA: Sull’obbligo di osservare, per le nuove costruzioni, la fascia di rispetto di sicurezza idraulica.(T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, Sentenza 2 ottobre 2013, n. 814)

Il divieto normativo di costruire in prossimità dagli argini di corsi d’acqua risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III – 8/3/2012 n. 439). ins.to 8 ott. 2013 da arial

Il divieto normativo di costruire in prossimità dagli argini di corsi d’acqua risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III – 8/3/2012 n. 439).

In linea generale, il divieto di costruzione di opere dagli argini dei corsi d’acqua, previsto dall’art. 96, lett. f), t.u. 25.07.1904 n. 523, ha carattere legale, assoluto e inderogabile, ed è diretto al fine di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici; cioè, esso è teso a garantire le normali operazioni di ripulitura/manutenzione e a impedire le esondazioni delle acque (cfr. (cfr. Cassazione civile, sez. un., 30.07.2009, n. 17784; TAR Lombardia Brescia, Sez. II, 1/8/2011, n. 1231).

T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 2 ottobre 2013, n. 814

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1208 del 2005, proposto da:

Sangalli Pietro, rappresentato e difeso dall’avv.to Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Viale Stazione n. 37;

contro

Comune di Darfo Boario Terme, non costituitosi in giudizio;

e con l’intervento di

ad opponendum:

Massimino Tonsi, rappresentato e difeso dall’avv.to Silvano Canu, con domicilio ex lege presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Zima n. 3;

per l’annullamento

DELL’ORDINANZA DEL RESPONSABILE DEL SERVIZIO URBANISTICA ED EDILIZIA PRIVATA IN DATA 30/8/2005, RECANTE L’INGIUNZIONE A DEMOLIRE OPERE EDILIZIE ABUSIVE.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 luglio 2013 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’atto impugnato, il Responsabile del Servizio Urbanistica e Edilizia privata ha ordinato al ricorrente di demolire un manufatto in legno di dimensioni di metri 4,80 x 3,40 ed altezza variabile da 1,90 a 2,30 metri, oltre a un piccolo manufatto adiacente in prismi. Nel provvedimento repressivo l’amministrazione evidenzia che le opere sono state eseguite in assenza di titolo abilitativo e, in aggiunta, richiama l’art. 96 lett. f) del R.D. 523 del 25/7/1904, che prevede una distanza minima delle costruzioni dai corsi d’acqua.

Riferisce parte ricorrente che le opere sono state realizzate prima del 1942, come confermato dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal Sig. Giovanni Giacomelli. Puntualizza che dall’estratto del rilievo aerofotogrammetrico del territorio comunale si evince la posizione dello stesso unitamente a un numero considerevole di edifici non regolari.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione il ricorrente impugna il provvedimento in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

a) Violazione dell’art. 1 della L. 1150/42 e dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, in quanto il modesto manufatto è stato realizzato prima del 1967, quando non era necessaria la licenza edilizia per gli interventi posti in essere in area esterna al centro abitato e in Comuni privi di strumentazione urbanistica;

b) Eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione del principio dell’affidamento, per l’ampio lasso temporale intercorso tra la commissione e l’accertamento dell’abuso, aggravato dalla mancata attivazione dei poteri repressivi nei confronti di altri (più impattanti) immobili di proprietà di terzi che si trovano in zona e versano nelle medesime condizioni;

c) Falsa applicazione degli artt. 3 comma 1 punto e.6 e dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, visto che l’opera – di volume ridotto – costituisce pertinenza dell’abitazione principale alla quale è asservita;

d) Violazione dell’art. 96 del R.D. 523/1904 poiché il manufatto non impedisce il corretto deflusso delle acque né le opere di manutenzione, e tra l’altro in oltre 50 anni non si è mai verificata alcuna situazione di pericolo.

L’amministrazione comunale non si è costituita in giudizio. Si è costituito ad opponendum il confinante Sig. Tonsi Massimino.

Alla pubblica udienza del 17/7/2013 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento con il quale il Responsabile comunale ha ordinato la demolizione di due corpi di fabbrica abusivi.

Il gravame è infondato e deve essere respinto, per le ragioni di seguito precisate.

1. Con la prima censura parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 1 della L. 1150/42 e dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, in quanto il modesto manufatto è stato realizzato prima del 1967, quando non era necessaria la licenza edilizia per gli interventi posti in essere in area esterna al centro abitato e in Comuni privi di strumentazione urbanistica (come nella specie).

Detta prospettazione non merita condivisione.

1.1 Come esplicitato nella recente pronuncia della Sezione 18/5/2012 n. 838, in linea di principio l’onere della prova circa la data di realizzazione di un immobile abusivo spetta a chi ha commesso l’abuso (Consiglio di Stato, sez. IV – 31/1/2012 n. 478): secondo il principio generale previsto dall’art. 2697 del codice civile, infatti, “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, e con riguardo alla realizzazione di opere in tempo utile per poter fruire del condono, ad esempio, si è affermato che è onere del privato fornire la prova sulla data di ultimazione dell’abuso, in quanto la pubblica amministrazione non può di solito materialmente accertare quale fosse la situazione dell’intero suo territorio alla data prevista dalla legge, mentre il privato è normalmente in grado di esibire idonea documentazione comprovante la conclusione dell’opera (Consiglio di Stato, sez. IV – 27/11/2010 n. 8298; si veda anche T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII – 2/7/2010 n. 16569; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I – 8/4/2010 n. 1506).

1.2 E’ stato altresì sottolineato che tale onere può ritenersi a sufficienza soddisfatto solo quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto, mentre la semplice produzione di una dichiarazione sostitutiva non può in alcun modo assurgere al rango di prova (T.A.R. Liguria, sez. I – 8/3/2012 n. 367). E’ stato inoltre puntualizzato che, nel processo civile, alle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà deve negarsi qualsiasi rilevanza, sia pure indiziaria, qualora costituiscano l’unico elemento esibito in giudizio al fine di provare un elemento costitutivo dell’azione o dell’eccezione

atteso che la parte non può derivare elementi di prova a proprio favore – ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c. – da proprie dichiarazioni non asseverate da terzi (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 24/2/2012 n. 617).

1.3 Nel caso di specie, il ricorrente ha allegato la dichiarazione sostitutiva di un altro soggetto senza accompagnarla con riscontri probatori di data certa, mentre al contrario l’interveniente ha fornito elementi i quali lasciano presumere che la costruzione risalga ad epoca ben più recente: dall’esame della fotografia allegata si notano materiali di costruzione il cui utilizzo in epoca remota non appare plausibile (cfr. foto doc. 1), e inoltre nell’estratto aerofotogrammetrico del 1985 e nell’estratto del P.R.G. del 1955 detto manufatto non compare. Il quadro fattuale vede dunque la prevalenza di dati incompatibili con la tesi propugnata dal Sig. Sangalli circa l’ultimazione delle opere in data anteriore al 1967.

2. Con ulteriore doglianza il ricorrente lamenta l’eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione del principio dell’affidamento, per l’ampio lasso temporale intercorso tra la commissione e l’accertamento dell’abuso, aggravato dalla mancata attivazione dei poteri repressivi nei confronti di altri (più impattanti) immobili di proprietà di terzi che si trovano in zona e versano nelle medesime condizioni.

2.1 In disparte l’asserzione dell’interveniente, il quale afferma che nel corso del 1993 sono stati avviati procedimenti sanzionatori in tutta la zona, con sopraluoghi effettuati in loco dall’autorità e conseguente eliminazione dei fabbricati abusivi ad opera di tutti i privati coinvolti, il Collegio richiama il consolidato orientamento ai sensi del quale gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni: pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell’esercizio del potere. In altri termini, l’autorità non emana un atto ‘a distanza di tempo’ dall’abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente (cfr. sentenze sez. I – 21/5/2012 n. 848; 16/1/2012 n. 59 e la giurisprudenza ivi richiamata). Peraltro nel caso di specie non necessita diffondersi sull’indirizzo minoritario che valorizza il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza (che potrebbero ingenerare un affidamento del privato) dato che la dedotta ampia soluzione di continuità temporale è sfornita di prova (cfr. supra par. 1).

3. Il ricorrente invoca l’inquadramento del manufatto nell’alveo delle pertinenze, per il suo ridotto volume.

3.1 La nozione di pertinenza, in materia edilizia, è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile solo a manufatti che non alterano in modo significativo l’assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono. Come sottolineato da questo Tribunale (cfr. sez. I – 30/10/2012 n. 1747) “la giurisprudenza richiede (cfr. Cons. St. Sez. IV, 17 maggio 2010 n. 3127 e precedenti ivi richiamati) che dette opere, per loro natura, risultino funzionalmente ed esclusivamente inserite al servizio di un manufatto principale, siano prive di autonomo valore di mercato e non valutabili in termini di cubatura (o comunque dotate di volume minimo e trascurabile), in modo da non poter essere utilizzate autonomamente e separatamente dal manufatto cui accedono. La Sezione (cfr. TAR Brescia 11.1.2006 n. 32) ha sottolineato che la strumentalità non può mai desumersi dalla destinazione soggettivamente data dal proprietario e devono comportare una circoscritta incisione sul cd. “carico urbanistico”. Venendo ora a fare applicazione dei suddetti principi alla fattispecie all’esame occorre rilevare che si è effettivamente in presenza di una struttura avente una superficie non eccessiva (mq. 16,40) utilizzata per il ricovero della legna.

4. E’ decisivo a questo punto l’elemento ostativo ulteriore rimarcato nel provvedimento impugnato, ossia la mancata osservanza della distanza minima dal Fiume Oglio stabilita dall’art. 96 del R.D. 523/1904 per ragioni di sicurezza idraulica. Sul punto non sono condivisibili i rilievi di parte ricorrente sulle circostanze che il manufatto non impedisce il corretto deflusso delle acque né le opere di manutenzione, e che in oltre 50 anni non si sono mai verificati pericoli.

4.1 Come osservato da questa Sezione nella sentenza 1/8/2011 n. 1231, l’indirizzo assolutamente costante della giurisprudenza civile e amministrativa si attesta sul canone per il quale <>.

La norma suddetta risponde all’evidente finalità di interrompere la pericolosa tendenza a occupare gli spazi prossimi al reticolo idrico, sia a tutela del regolare scorrimento delle acque sia in funzione preventiva rispetto ai rischi per le persone e le cose che potrebbero derivare dalle esondazioni. La natura degli interessi pubblici tutelati comporta, pertanto, che il vincolo operi con un effetto conformativo particolarmente ampio determinando l’inedificabilità assoluta della fascia di rispetto (T.A.R. Toscana, sez. III – 8/3/2012 n. 439).

4.2 In assenza di elementi a suffragio dell’applicazione della deroga contenuta nella lett. F del citato art. 96, ne consegue tra l’altro che nessuna opera realizzata in violazione della norma de qua può essere sanata e altresì – come affermato nella già citata sentenza di questo T.A.R. n. 1231/2011, “che è legittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente ad un fabbricato realizzato all’interno della c.d. fascia di servitù idraulica, atteso che, nell’ipotesi di costruzione abusiva realizzata in contrasto con tale divieto, trova applicazione l’art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 sul condono edilizio, il quale contempla i vincoli di inedificabilità, includendo in tale ambito i casi in cui le norme vietino in modo assoluto di edificare in determinate aree (da ultimo: TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981)”.

4.3 L’accertata operatività del vincolo di inedificabilità assoluta, nel caso di specie, è idonea di per sé a sorreggere il provvedimento impugnato, e determina, pertanto, l’infondatezza del ricorso, senza necessità di approfondire l’ulteriore profilo – invocato dall’interveniente e non menzionato nell’atto impugnato – afferente alla sussistenza del concorrente vincolo paesaggistico.

5. In conclusione il gravame non merita accoglimento.

L’obiettiva modestia delle dimensioni del manufatto giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Stefano Tenca, Consigliere, Estensore




Ordinanza contingibile e urgente per la prevenzione del randagismo

Il randagismo è un fenomeno deteriore, una problematica sociale da prevenire e risolvere, ma non è consentito a nessuno di farlo mediante trattamenti contrari al senso umano e al rispetto dovuto agli animali domestici che, come il cane, vivono da millenni uno speciale rapporto simbiotico con l’uomo. Privare i cani randagi del cibo somministrato da occasionali fornitori della strada equivale a ridurli alla fame, ….. fonte:TAR Molise sez. I 17/9/2013 n. 527 Ins.to il 9 ott 2013 da arial

È illegittima l’ordinanza sindacale con la quale è stato vietato a tutti di somministrare cibo ai cani randagi nella città; appare evidente che la normativa in materia, contenuta nella legge 14.8.1991, n. 281, recante norme quadro in materia di animali d’affezione e prevenzione del randagismo, rechi in sè una robusta tutela degli animali addomesticabili viventi in ambiente antropizzato, ivi compresi i cani randagi. Il randagismo è un fenomeno deteriore, una problematica sociale da prevenire e risolvere, ma non è consentito a nessuno di farlo mediante trattamenti contrari al senso umano e al rispetto dovuto agli animali domestici che, come il cane, vivono da millenni uno speciale rapporto simbiotico con l’uomo. Privare i cani randagi del cibo somministrato da occasionali fornitori della strada equivale a ridurli alla fame, a costringerli a rovistare tra i rifiuti o, addirittura, a diventare aggressivi per procurarsi cibo e questo – che sarebbe poi l’effetto ultimo dell’ordinanza sindacale impugnata, salvo che non si voglia attribuire ad essa la velleitaria finalità d’indurre la popolazione canina a trasmigrare verso aree più fornite di cibo – rappresenterebbe un trattamento crudele di detti animali, non conforme a legge. Anche a prescindere dalla valutazione dei presupposti e dei limiti del potere esercitato, l’ordinanza impugnata impone soluzioni sproporzionate e manifestamente illogiche al problema del randagismo, che può e deve essere affrontato mediante gli strumenti consentiti dalla legge (sterilizzazioni veterinarie, ricovero di animali in strutture protette, campagna di adozioni et similia).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 406 del 2008, proposto da Lega Molisana per la Difesa del Cane, Ente Molisano Protezione Animali e Associazione Volontaria Amici dei Randagi, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p. t., rappresentati e difesi dagli avv.ti Vincenzo Colalillo e Stefano Scarano, con elezione di domicilio in Campobasso, via Umberto I n. 43,

contro

Comune di Campobasso, in persona del Sindaco p. t., anche nella qualità di ufficiale di governo, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Calise, con domicilio eletto in Campobasso, piazza Vittorio Emanuele II n. 29,

per l’annullamento

dei seguenti atti: 1)l’ordinanza sindacale n. 180 datata 28.10.2008, con la quale è stato disposto che non sia più somministrato cibo ai cani randagi in tutta la città di Campobasso; 2)gli atti connessi, precedenti e consequenziali, ivi compresi i provvedimenti integrativi, rettificativi o modificativi;

Visto il ricorso con i relativi allegati, nonché le successive due memorie dei ricorrenti;

Visti l’atto di costituzione e la memoria dell’Amministrazione comunale intimata;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 luglio 2013 il dott. Orazio Ciliberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I – I ricorrenti sono enti e associazioni che si occupano della protezione degli animali, in particolare del cane e insorgono avverso il Comune di Campobasso, per impugnare i seguenti atti: 1)l’ordinanza sindacale n. 180 datata 28.10.2008, con la quale è stato disposto che non sia più somministrato cibo ai cani randagi in tutta la città di Campobasso; 2)gli atti connessi, precedenti e consequenziali, ivi compresi i provvedimenti integrativi, rettificativi o modificativi. I ricorrenti deducono i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione della legge n. 281/1991 e della L.R. n. 7/2005, violazione dell’art.54 del D.Lgs. n. 267/2000, violazione degli artt. 3 e 10 della legge n. 241/1990, violazione dei regolamenti di esecuzione della L.R. n. 7/2005, violazione del regolamento comunale per la tutela degli animali, difetto e insufficienza di motivazione, errata presupposizione dei fatti, illogicità, contraddittorietà, sviamento, eccesso di potere sotto ulteriori profili.

Con due successive memorie, i ricorrenti ribadiscono e precisano le proprie deduzioni e conclusioni.

L’Amministrazione comunale intimata si costituisce, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. Ne chiede la reiezione.

Con ordinanza collegiale del 28.1.2009, questa Sezione accoglie la domanda cautelare dei ricorrenti.

All’udienza del 28 marzo 2013, la causa viene introitata per la decisione.

II – Il ricorso è fondato.

III – I ricorrenti – come già rilevato – sono enti e associazioni intesi a occuparsi della protezione degli animali, in particolare del cane, ed essi insorgono avverso il Comune di Campobasso, per impugnare l’ordinanza sindacale datata 28.10.2008, con la quale è stato vietato a tutti di somministrare cibo ai cani randagi nella città di Campobasso.

A tenore della legge 14 agosto 1991 n. 281, recante norme quadro in materia di animali d’affezione e prevenzione del randagismo, <> (art. 1). <> (art. 2 comma secondo). <> (art. 2 comma terzo). <> (art. 2 comma quarto). <




CASSAZIONE: VERDE SI, MA CON PRUDENZA

LA CORTE DI CASSAZIONE ricorda che anche quando la ripartenza al semaforo verde avviene da una posizione regolare (ossia quando il veicolo che riprende la marcia si trova prima della linea di arresto della strada che confluisce nell’intersezione) il conducente a cui appare il verde deve tenere una velocità adeguata ai luoghi e accertarsi dell’eventuale presenza di pedoni. Ins.to il 22 giugno 2013 da arial

cassazione: vERDE SI, MA CON PRUDENZA

lA CORTE DI CASSAZIONE ricorda che anche quando la ripartenza al semaforo verde avviene da una posizione regolare (ossia quando il veicolo che riprende la marcia si trova prima della linea di arresto della strada che confluisce nell’intersezione) il conducente a cui appare il verde deve tenere una velocità adeguata ai luoghi e accertarsi dell’eventuale presenza di pedoni.

Si esige un comportamento prudenziale nel momento della ripartenza dopo un arresto dovuto al semaforo rosso.
Allo scattare del verde è necessario mantentere un atteggiamento prudenziale per prevenire eventuali imprudenze commesse da altri utenti della strada.
vai su allegati per scaricare la sentenza

Ins.to il 22 giugno 2013 da arial




Giurisprudenza : Insidia stradale, sinistro, responsabilità, fatto illecito, ANAS, colpa Cassazione civile , sez. III, sentenza 16.01.2013 n° 907

Anche se l’anas ha dimesso il tratto stradale teatro dell’incidente con consegna al Comune, ma comunque continua ad effettuare,di fatto, la manutenzione ordinaria e straordinaria del tratto di strada ove è avvenuto l’incidente , è comunque responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c, se il guard-rail, elemento determinante del sinistro, era stato posto in opera dalla stessa ‘Anas che ne aveva curato sempre la manutenzione. Il gestore della strada pubblica, in virtù del principio del neminem laedere, è tenuto a far sì che il bene demaniale non presenti una situazione di pericolo occulto per l’utente, dando luogo al c.d. trabocchetto o insidia stradale. L’insidia stradale, d’altronde, intesa come pericolo occulto, non visibile e non prevedibile, non integra una regola sostanziale, cioè un’autonoma figura di illecito, ma è solo una figura sintomatica del comportamento colposo dell’ente gestore della strada pubblica. La norma di riferimento rimane quindi sempre l’art. 2043 c.c., e la colpa dell’ente gestore consiste nell’aver creato un affidamento nell’utente della strada o delle sue pertinenze, sulla non pericolosità della stessa. (Contrariamente a quanto è invece nella fattispecie accaduto al ricorrente, ove il guard-rail, tenuto in cattivo stato di manutenzione, a seguito dell’urto della sua autovettura, che sbandava nel percorrere una rotonda, era penetrato come una lama nell’autovettura stessa tranciando entrambe le gambe del guidatore allora diciannovenne.) Dott. Giuseppe Aiello, C.te Polizia municipale di Lioni. Ins.to da arial 29.01.2013

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 10 ottobre 2012 – 16 gennaio 2013, n. 907

(Presidente Petti – Relatore Armano)

Svolgimento del processo

Con citazione del 15-1-93 M..B. ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Brescia l’Anas per ottenere il risarcimento dei danni subiti in data (omissis) mentre percorreva la Statale (omissis) allorquando, nel percorrere la rotonda esistente in località (omissis), l’autovettura sbandava ed andava ad urtare contro un guardrail in cattivo stato di manutenzione con pezzi di lamiera non più agganciati e posizionati orizzontalmente che, quasi come una lama, si conficcarono nel vano motore amputandogli ambedue le gambe all’età di appena diciannove anni.

L’Anas nel costituirsi in giudizio ha negato ogni responsabilità perché il sinistro era da addebitare a colpa esclusiva dell’attore eccependo inoltre di avere dimesso il tratto stradale teatro dell’incidente fin dal …, con consegna al Comune di Presceglie.

Dopo l’espletamento della prova testimoniale il Giudice ha ordinato la chiamata in causa del Comune di Presceglie ex art.107 c.p.c. nei cui confronti il B. ha esteso la domanda di risarcimento del danno. Il Comune nel costituirsi ha negato ogni addebito, sul rilievo che il guard-rail era stato posto in opera dall’Anas che ne aveva curato sempre la manutenzione.

Il Tribunale di Brescia Ritenuto che il diritto dell’attore nei confronti del Comune di Preseglie era prescritto ai sensi dell’art. 2947 2 comma c.c. e che l’evento dannoso era ascrivibile nella misura di due terzi alla condotta di guida del B. , che aveva affrontato la rotatoria a velocità eccessiva perdendo il controllo dell’autovettura, e per un terzo all’Anas, che aveva posizionato il guard-rail in modo abonrome, ha respinto la domanda di risarcimento nei confronti del Comune ed ha condannato l’Anas al pagamento in favore del B. della somma di Euro 220.000,00, somma da cui ha escluso il risarcimento il danno patrimoniale. Avverso detta sentenza ha proposto appello principale l’Anas e appello incidentale il B. ed il Comune di Presceglie.

Con sentenza depositata il 2-3-2006 la Corte di Appello di Brescia ha rigettato l’appello principale dell’Anas,ha accolto in parte l’appello incidentale del B. nei confronti dell’Anas e, ferma la ripartizione di responsabilità fra il B. e l’Anas come determinata dal primo giudice, ha condannato l’Anas a risarcire al B. anche il danno patrimoniale non liquidato dal Tribunale.

Ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento proposta dall’attore nei confronti del Comune di Presceglie ed ha dichiarato inammissibile, perché nuova, la domanda proposta dall’Anas nei confronti del Comune.

Propone ricorso l’Anas con quattro motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Presceglie e propone ricorso incidentale con quattro motivi.

Resiste con controricorso M.B.

L’Anas resiste con controricorso al ricorso incidentale del Comune di Presceglie.

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi a norma dell’art. 335 c.p.c. in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

1. M..B. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso dell’Anas per mancanza di sottoscrizione della copia notificata del ricorso da parte del difensore in violazione dell’artt. 365 c.p.c.

2. L’eccezione è infondata.

ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, qualora l’originale dell’atto rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione, ad opera del medesimo, della sottoscrizione della parte che la procura ha conferito, la mancanza di tale firma e dell’autenticazione nella copia notificata non determinano l’invalidità del ricorso, purché la copia stessa contenga elementi, quali l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente, idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale.

La mancanza di tale attestazione, non consentendo di accertare l’identità della persona che ha richiesto la notifica, determina l’inammissibilità del ricorso. Cass., Sentenza n. 4548 del 24/02/2011; Cass. Sentenza n. 5932 del 11/03/2010; Cass., Sentenza n. 636 del 15/01/2007.

3. Nella specie l’originale del ricorso è sottoscritto dall’avvocato dello Stato Tito Varrone e risulta,dall’attestazione dell’ufficiale giudiziario, che la notifica è stata effettuata a richiesta dell’Avvocatura Generale dello Stato.

4. Si osserva inoltre che il ricorso non contiene la procura speciale in quanto, come statuito dalle S.U. 7/8/2001, n. 10894, anche nell’ipotesi di rappresentanza e difesa facoltativa degli enti pubblici da parte dell’Avvocatura dello Stato, non è necessario che, in ordine ai singoli giudizi, l’ente rilasci uno specifico mandato all’Avvocatura medesima, giacché, a norma dell’art. 45 del regio decreto n. 1611 del 1933, anche al patrocinio cosiddetto facoltativo si applica il secondo comma dell’art. 1 del citato regio decreto, a termini del quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità. (Fattispecie relativa alla difesa in giudizio dell’Ente Nazionale per le Strade, per il quale è previsto il patrocinio facoltativo dell’Avvocatura dello Stato a norma dell’art. 2, quarto comma, D.Lgs. n. 143 del 1994).

5. Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., dell’art. 28 della L. 20-3-1865 n.2248 all. F e dell’art. 5 R.D. 15-11-1923 n. 2506 ex art. 260 n. 3 c.p.c.

Assume la ricorrente che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che a carico dell’Anas vi fosse l’obbligo di manutenzione e di custodia della strada oggetto dell’incidente, mentre l’obbligo di custodia andava posto a carico del Comune di Presceglie, al quale con ordinanza del 1982 era stato comunicato dall’Anas che il tratto in oggetto non costituiva più strada statale e rientrava nel demanio comunale.

6. Con il secondo motivo si denunzia vizio di motivazione per avere la Corte di merito accertato che la strada oggetto del sinistro era di proprietà del Comune di Presceglie, senza riconoscere che a tale ente in qualità di custode competeva la manutenzione della strada e del guardrail.

7. Con il terzo motivo si denunzia vizio di motivazione per aver la Corte di merito ritenuto l’Anas responsabile del risarcimento dei danni per aver continuato a occuparsi della manutenzione del tratto stradale in oggetto anche dopo il 1982.

Assume la ricorrente Anas che la circostanza che saltuariamente si fosse occupata della manutenzione del tratto in oggetto, in quanto vicino ad una strada statale,non poteva avere alcuna rilevanza fra l’Anas ed il Comune,e, una volta dismesso il tratto stradale, non poteva costituire fonte legale o negoziale per far sorgere l’obbligo di custodia.

8. I tre motivi si trattano congiuntamente per a stretta connessione logico giuridica e sono infondati.

Va anzitutto premesso che, essendo stata la questione introdotta e trattata nelle fasi di merito sotto il profilo della norma di cui all’art. 2043 c.c., negli stessi termini deve continuarsi ad esaminare in sede di legittimità (cfr. S.U. 7.8.2001, n. 10893).

Il B. ha richiesto il risarcimento dei danni derivanti dalla cattiva manutenzione del tratto stradale, su cui erano presenti buche che assentamente hanno provocato lo sbandamento dell’autovettura, e dal guard rail, posizionato dall’Anas,citato come gestore della strada, e dalla stessa tenuto in cattivo stato di manutenzione, facendo valere la generalissima responsabilità ex art. 2043 c.c.

Le sentenze di primo e secondo grado hanno esaminato la domanda sotto il profilo della responsabilità ex art. 2043 c.c., non facendo alcuna menzione della presunzione di responsabilità che grava sul custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. e dell’eventuale prova del caso fortuito fornita dal custode per liberarsi della presunzione di responabilità.

9. Il punto su cui si fonda la ratio decidendi della sentenza impugnata è che il guard-rail era stato posizionato dall’Anas e che la manutenzione della rotonda e del guard rail era stata sempre curata dall’Anas, anche dopo la formale dismissione avvenuta con il provvedimento del 1982.

Stante tale ricostruzione fattuale, la Corte di merito ha ritenuto sussistere la responsabilità dell’Anas,,tenuta alla manutenzione, a norma dell’art. 2043 c.c., sotto il profilo dell’insidia stradale.

10. L’insidia stradale, intesa come pericolo occulto, non visibile e non prevedibile, non integra una regola sostanziale, cioè un’autonoma figura di illecito, ma è solo una figura sintomatica del comportamento colposo dell’ente gestore della strada pubblica, che, in virtù del principio del neminem laedere, è tenuto a far si che il bene demaniale non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dia luogo al c.d. trabocchetto o insidia stradale.

11. La norma di riferimento rimane pur sempre l’art. 2043 c.c., e la colpa dell’ente gestore consiste nell’aver creato un affidamento nell’utente della strada o delle sue pertinenze, sulla non pericolosità della stessa, quale appare, contrariamente a quanto è invece nella realtà accaduto poiché il guar rail, tenuto in cattivo stato di manutenzione, a seguito dell’urto, è penetrato come una lama nell’autovettura tranciando entrambe le gambe del guidatore.

12. Non ricorre la dedotta violazione di legge in quanto i giudici di merito hanno rispettato le norme regolatrici della fattispecie, come introdotta in citazione dall’attore, e l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina.

13. Non coglie nel segno la censura di vizio di motivazione della sentenza impugnata là dove ha fatto discendere dalla circostanza che l’Anas si occupava della manutenzione del tratto stradale un obbligo di intervento a carico della stessa, il cui inadempimento la rendeva responsabile nei confronti del B.

14. Tutte le censure articolate dalla ricorrente – anche là dove denunciano la violazione o la falsa applicazione di norme di legge – si risolvono in una contestazione dell’utilizzazione della prova per presunzioni e della rilevanza probatoria degli elementi valorizzati dal giudice di merito.

Ma tali critiche non considerano, per un verso, che la prova per presunzioni costituisce prova completa, alla quale il giudice del merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di controllarne l’attendibilità e di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda; e, per l’altro verso, che è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice del merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, a e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione (Cass., Sez. 3^, 4 marzo 2005, n. 4743; Cass., Sez. 3^, 11 maggio 2007, n. 10847; Cass., Sez. 3^, 13 novembre 2009, n. 24028).

15. L’unico sindacato riservato al giudice di legittimità è, infatti, sulla congruenza della relativa motivazione, nel controllo cioè che le argomentazioni giustificative del convincimento espresso dal giudice di merito siano immuni da incoerenza logica e da vizi giuridici o da omissioni vertenti su elementi decisivi, che abbiano formato oggetto di rituali deduzioni.

16. La Corte di appello ha affermato che nella specie non rileva la proprietà formale della strada bensì l’individuazione del soggetto tenuto o che comunque ha curato la manutenzione del tratto stradale interessato dal sinistro.

Dalla istruttoria espletata è emerso che il guard-rail causa dell’incidente era stato posto a protezione del tratto di strada sovrastante il torrente XXXXXX dall’Anas prima del XXXX e si congiungeva con un altro guard rail rettilineo posizionato dall’Anas o dalla Provincia di Brescia, con esclusione di alcun intervento da parte del Comune di Preseglie; e che il tratto di strada non era stato mai formalmente consegnato al Comune di Preseglie dall’Anas, e che quest’ultima ne aveva sempre curato la manutenzione.

Il teste Ro..Be. , tecnico dei comune di Preseglie, ha dichiarato che la manutenzione ordinaria e straordinaria del tratto di strada ove è avvenuto l’incidente è sempre stata effettuata dall’Anas che la curava tutt’ora.

Il teste b.a. , capo cantonierie Anas, ha dichiarato che l’Anas ha sempre curato la manutenzione della rotonda alla cui protezione era stato posto il guard-rail.

17. La Corte di merito ha escluso qualsiasi responsabilità del Comune di Preseglie, che non ha posizionato il guard-rail e che non ne curava la manutenzione, né ordinaria né straordinaria, perché questa era di pertinenza esclusiva dell’Anas che, indipendentemente da qualsiasi provvedimento sulla proprietà formale della strada, ha continuato a comportarsi come proprietaria della rotatoria e dei vari tratti di accesso alla stessa, anche dopo l’incidente de quo.

18. Le argomentazioni della Corte di merito sono logiche, non contraddittorie e conformi al diritto, e adeguatamente danno conto degli elementi istruttori valutati e ritenuti prevalenti su cui si è fondato il convincimento del giudice.

19. Con il quarto motivo si denunzia violazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 per aver la Corte di merito omesso di pronunziarsi sul sesto motivo di appello con cui l’Anas aveva contestato l’accertato concorso di responsabilità nella causazione dell’incidente.

20. Il motivo è inammissibile.

L’omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (v. ex plurimis Cass. n. 375 del 2005; n. 14003 del 2004; n. 604 del 2003; n. 9707 del 2003; n. 11260 del 2000, Sez. 3, Sentenza n. 7268 del 11/05/2012).

Il ricorso incidentale del Comune è assorbito.

Le spese del giudizio fra l’Anas ed il Comune di Preseglie si compensano in considerazione dell’assorbimento del ricorso incidentale e seguono la soccombenza fra l’Anas e B.M.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di cassazione fra l’Anas ed il Comune di Preseglie e condanna l’Anas al pagamento delle spese processuali in favore di B.M. , liquidate in Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.